LA RELAZIONE E’ UNO STRUMENTO DI CURA?
La relazione che si viene a creare tra terapeuta e paziente è quel particolare legame affettivo, fatto di empatia, fiducia e rispetto, che beneficia tutto il processo di cura, anzi, ne è elemento imprescindibile per poter co-costruire il percorso stesso.
Essa rientra nel più allargato concetto di alleanza terapeutica, della quale Bordin (1979) ne da una definizione:
“Alleanza tra paziente e terapeuta significa obiettivi condivisi, compiti reciproci durante il trattamento e un legame affettivo caratterizzato da fiducia e rispetto”.
Ne deriva che la collaborazione sia un aspetto fondamentale per la buona riuscita di questo rapporto, in cui entrambi i soggetti sono agenti attivi di un processo di scambio, interazione e di cambiamento.
“La mente non ha bisogno come un vaso di essere riempita, ma come la legna da ardere ha bisogno solo di una scintilla che la accenda” (cit. Plutarco).
Questo tipo di rapporto è rappresentativo di tutte le altre interazioni sociali che il paziente intraprende (e ha intrapreso nel corso della sua vita) nella sua quotidianità attuale, innescando così le stesse dinamiche psicologiche, o cicli interpersonali, secondo l’approccio cognitivo-comportamentale.
Qual è la differenza nella Relazione terapeutica?
Il terapeuta fa da “modello adulto sano” che interagisce con il paziente in modo funzionale, forse per la prima volta nella sua vita, modificando in questo modo anche le credenze su di sé, sull’altro e di sé con l’altro.
Il ruolo del terapeuta è anche quello di agire come una “figura di attaccamento”, creando una base sicura che consenta al paziente di procedere nell’esplorazione delle proprie esperienze e dei propri vissuti di attaccamento, questo in terapia costituisce una vera e propria “esperienza emozionale correttiva”, in grado di ricompensare, ricostruire ed elaborare le ferite relazionali pregresse e/o attuali.
Lo stesso Jhon Bowlby (1988) ha sottolineato che la relazione psicoterapeutica può costituire un importante fattore di cambiamento dello stile di attaccamento, consentendo al paziente di passare da uno stile insicuro a uno stile sicuro.
A questo punto ritengo necessario spendere due parole per capire cosa si intende quando si parla di attaccamento, secondo la teoria sviluppata da Jhon Bowlby (1969;1972;1980).
La particolare relazione che si viene a creare tra un bambino e la sua figura di attaccamento, il care-giver, ovvero chi si prende cura di lui (generalmente la madre) si declina in stili di attaccamento differenti, a seconda della matrice relazionale originale, ovvero, a seconda (o meno) della presenza, vicinanza, rispecchiamento emotivo, affetto e responsività del genitore ai bisogni del bambino, si instaurerà nel bambino una relazione sicura o insicura di attaccamento con il proprio care-giver.
Egli dimostrò come lo sviluppo armonioso della personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura materna o un suo sostituto.
Grazie agli esperimenti degli anni ’70 di Mary Ainsworth, la Strange Situation, si poterono classificare i pattern comportamentali di base, riscontrabili in bambini di età prescolare. Dall’osservazione di gruppi di bambini che si ricongiungevano alla madre, dopo essere stati separati per un certo periodo di tempo, vennero riscontrati i principali stili di attaccamento:
1. un primo gruppo manifestava sentimenti positivi verso la madre (attaccamento sicuro)
2. un secondo mostrava relazioni marcatamente ambivalenti (attaccamento insicuro ansioso-ambivalente)
3. un terzo intratteneva con la madre relazioni non espressive, indifferenti o ostili (attaccamento insicuro distanziante-evitante)
4. in seguito venne rilevato un altro pattern di comportamento, tipico delle relazioni abusanti, trascuranti o nelle quali sia stato vissuto dal bambino una qualche forma di trauma (attaccamento insicuro disorganizzato).
Tutti i bambini sviluppano entro i primi 8 mesi di vita uno stile di attaccamento, che si completa entro il loro secondo anno. Possono verificarsi attaccamenti multipli, che nel corso dello sviluppo sono suscettibili di variazioni. Nell’adolescenza, l’ attaccamento attraversa un periodo di transizione: l’adolescente si allontana intenzionale dalla relazione con i genitori e familiari, per costruire relazioni nuove con coetanei, relazioni amicali e amorose. La relazione terapeutica rientra quindi a pieno titolo, nelle relazioni di attaccamento secondarie o surrogate che possono ricostruire, come già detto, gli stili insicuri in stili sicuri, i così detti “sicuri guadagnati”. Ad esempio, un attaccamento ansioso-ambivalente può, con la psicoterapia, diventare un sicuro acquisito, potendo contare con nuove modalità relazionali e risorse personali.
In ultimo vorrei anche dire, che può accadere che la relazione terapeutica sia soggetta a rotture, impasse, fino anche a chiusure definitive, come avviene in tutti gli altri rapporti umani della vita del resto.
In questi casi, si portano all’attenzione tutte le criticità venute a galla, come ad esempio un possibile atteggiamento di chiusura o aggressivo del paziente, ecc e che saranno al centro del lavoro terapeutico nelle sedute successive, ricucendo così, il patto di fiducia.
“l’ attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba” (J.Bolwby, 1982)
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