Che cos’è la “SINDROME DELL’IMPOSTORE”?
Chi sono io?
Una definizione di impostore è: colui (o colei) che tradisce o mente presentando qualcosa di falso come vero. Di solito il concetto è usato per nominare l’individuo che finge di essere qualcuno che, in realtà, non lo è. L’impostore, quindi, adotta una sorte di “falsa identità”.
La sindrome dell’impostore è un termine di recente utilizzo nel campo della psicologia, una vera e propria sindrome psicologica, che può andare, dalla sua espressione più estrema – la sindrome dell’impostore – alla semplice tendenza a mettersi in dubbio, a tutti i livelli dell’esistenza, dal pubblico al privato, dalla carriera, all’amore, ecc. e fu identificata negli anni Settanta da due studiose americane, Pauline Rose Clance e Suzanne Imes, poi descritta nel loro libro “La sindrome dell’impostore” edito in Italia nel 2021(si veda dopo tra le letture consigliate).
Riferibile ad un’esperienza interna di non meritevolezza del proprio successo in vari campi della vita, una sorta di frode intellettiva e morale che mette, la persona che ne è affetta (al 70% donne) nella condizione di temere di essere prima o poi scoperti (smascherati) da qualcuno della propria “truffa”, legata ad inadeguatezza, incapacità, indegnità o “fuffa”, perdendo così, da un momento all’altro, tutto ciò che hanno guadagnato. Comune è la tendenza di attribuire i successi conseguiti, seppur ripetuti e notevoli, a fattori esterni. Tipicamente, si individuano tra tali fattori la fortuna, o il fatto che le altre persone sovrastimino le capacità del soggetto stesso.
E’ sicuramente un aspetto clinico collegato ad una disfunzione della percezione dell’autostima personale, ovvero al valore di sé, e lo ritroviamo spesso in associazione a delle altre caratteristiche di personalità come: il perfezionismo clinico, il pensiero dicotomico (bianco/nero, tutto/nulla), il catastrofismo, ansia anticipatoria, rimuginio ansioso, la severa critica di sé e, in generale, ad un funzionamento cognitivo rigido. Ma non solo, si può ritrovare anche la continua ricerca di approvazione, rassicurazione e vicinanza dell’altro unitasi ad una svalutazione di sé e senso di fallimento personale. Sovente vengono sviluppati anche stati depressivi secondari.
E’ bene specificare che questa sindrome non rientra in una specifica categoria nosografica distinta, perché non è riconosciuta dalla comunità scientifica come un disturbo mentale vero e proprio, ma la si ritrova spesso nella pratica clinica, facente parte di un quadro psicopatologico e personologico più ampio, come detto precedentemente.
Ma che significa esattamente sentirsi un “impostore”?
Il vissuto dell’impostore è quello di non sentirsi mai all’altezza della situazione, in preda a vissuti emotivi di colpa, incertezza, angoscia, vergogna di sé, dubbio simil-ossessivo e costante timore e ansia del giudizio negativo altrui. Questo non limita il proprio raggio d’azione alla sfera lavorativa, è una trappola mentale che riguarda e influenza inevitabilmente ogni ambito dell’esistenza: dal lavoro, le prestazioni sportive, il sesso, le relazioni sociali e affettive, alla qualità della vita generale, traducendosi in continui atti di auto-sabotaggio, come ad esempio gli evitamenti situazionali e la procrastinazione come strategie per evitare di essere “scoperti impostori”.
Cosa si può fare per superare la sindrome dell’impostore?
Le radici psicologiche del senso di inadeguatezza vanno chiaramente ricercate nelle prime esperienze infantili, dove la persona è stata testimone e vittima di critica severa da parte del genitore, il tipico genitore incontentabile, severo e pretenzioso, oppure di un genitore altrettanto insicuro, fragile e preoccupato, che si è sostituito al figlio impedendogli di imparare “come si fa” e di sbagliare, inficiando così la fiducia personale, la sicurezza di sé ed un senso d’identità integro e sano.
E’ esattamente su questi aspetti che il soggetto dovrà lavorare, in un percorso di psicoterapia, come si suol dire “unendo tutti i punti”, dalle radici del problema, alle manifestazioni attuali nella vita quotidiana e, in particolar modo, nel rapporto con se stessi, giungendo ad una versione più reale, imperfetta e autentica di sé. Inoltre è di fondamentale importanza fare esperienze (evitare di evitare) permettersi di rischiare e sbagliare e, congratularsi per i propri successi e meriti oggettivi.
“Chi sei?” è una delle domande più difficili in psicoterapia, ogni tanto è un punto di partenza, altre volte,
è proprio il punto di arrivo.
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